DANNO PARENTALE PRESUNTO IN CASO DI CONVIVENZA

IL DANNO PARENTALE SI PRESUME
IN CASO DI CONVIVENZA

ARTICOLO PUBBLICATO SU ASSINEWS
DICEMBRE 2020

Per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita o grave lesione del rapporto parentale, il congiunto rimasto danneggiato non dovrà provare il “totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare”, potendosi limitare a fornire la prova – anche presuntiva – della sofferenza patita e della gravità delle ricadute sui rapporti di convivenza.

Questo il pensiero della Terza Sezione della Suprema Corte che, nel solco delle recenti pronunce di San Martino 2019, con l’ordinanza 7748 del 8 aprile 2020 continua ad apportare importanti novità interpretative in materia di risarcimento del danno non patrimoniale.

 

 

Il caso

La vicenda giudiziaria trae origine da un sinistro stradale nel quale il conducente di un motociclo perdeva la vita in conseguenza dell’urto con altro veicolo.

Nel sinistro rimaneva coinvolto anche il terzo trasportato a bordo del motociclo il quale, rimasto gravemente danneggiato, agiva in giudizio nei confronti del responsabile.

 

Il Giudice di primo grado riconosceva il 70% di responsabilità al conducente del veicolo e il restante 30% a quello del motoveicolo.

Al terzo trasportato veniva invece riconosciuta una minima responsabilità del 10% per il danno a sé stesso, venendogli liquidata una somma per il danno subito, così come ai suoi congiunti di riflesso.

 

La decisione veniva impugnata con appelli autonomi dal terzo trasportato, dai suoi congiunti e dalla Compagnia di assicurazione del conducente del veicolo.

La Corte di Appello di Roma respingeva l’appello del terzo trasportato e dei suoi congiunti, accogliendo per contro quello della Compagnia, negando:

 

   al terzo trasportato il risarcimento del danno morale ritenendolo compreso in quello biologico, nonché quello relativo alla perdita di capacità lavorativa siccome non provato;

   ai congiunti della vittima il risarcimento del danno invocato per non aver fornito idonea prova, non presumibile neanche dal rapporto di parentela esistente.

 

Le ragioni della decisione

 

Avverso la pronuncia della Corte d’Appello, il terzo trasportato e i congiunti proponevano ricorso per cassazione con tre distinti motivi, solamente il primo dei quali riguardava le ragioni dei congiunti.

A dire di quest’ultimi la Corte era incorsa in errore di interpretazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla prova del danno iure proprio dei congiunti.

 

La Cassazione riteneva fondato tale motivo di ricorso.

 

Il ragionamento della Corte risultava viziato sin dalla premessa, in quanto riteneva sussistente un danno dei congiunti solo in presenza di “un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del nucleo familiare su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito dal familiare”.

Tale limitazione non aveva tuttavia alcuna ragion d’essere.

Secondo la Suprema Corte infatti, il danno dei congiunti – seppur spesso definito danno riflesso per mere ragioni descrittive, è pur sempre un danno diretto, al pari del danno patito dalla vittima “primaria” del sinistro.

Il danno dei congiunti consiste, infatti, nelle dirette conseguenze patite dai congiunti a seguito delle lesioni inferte al parente prossimo, che possono causare “sia una sofferenza d’animo, sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita”.

Alla luce di quanto sopra, non vi è dunque alcun motivo per sottoporre i congiunti ad un onere di prova diverso e più rigoroso rispetto a quello richiesto per il risarcimento di ogni altro tipo di danno non patrimoniale, dovendosi per contro applicare le regole generali in materia.

Conseguentemente il congiunto potrà far ricorso alla prova presuntiva e, in particolar modo, al rapporto di stretta parentela sussistente.

Secondo la Suprema Corte, infatti, “il rapporto di stretta parentela fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale…. che genitori e fratelli soffrano per le gravissime lesioni riportate dal congiunto prossimo”.

Sofferenze che non devono, come sostenuto dalla Corte di Appello di Roma, necessariamente comportare un drastico cambiamento di vita dei parenti, essendo sufficiente che vi sia un una “soggettiva perturbazione dello stato d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima”.

 

La Suprema Corte respingeva i restanti due motivi di appello, così come il ricorso incidentale dei controricorrenti, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Roma.