FINANZIAMENTO E CREDITO AL CONSUMO

RISOLVERE IL FINANZIAMENTO IN CASO DI SERVIZI NON GODUTI

Con la crisi dei consumi, che ha interessato l’ultimo decennio, i venditori e i fornitori di servizi hanno cercato di studiare formule ed offerte (almeno apparentemente) vantaggiose per i consumatori, ovviamente con l’unico scopo di favorire ed aumentare i propri introiti.

Una delle pratiche più diffuse, e senz’altro nota ai più, è quella di proporre al consumatore di pagare il servizio o il prodotto a rate, stipulando un apposito contratto di finanziamento con una Banca o una società finanziaria, generalmente convenzionata con il venditore.

Tale pratica prende il nome di credito al consumo e comporta, nella maggior parte dei casi, finanziamenti a breve termine che vengono erogati sotto forma di prestiti personali, carte di credito o revolving e cessioni del quinto dello stipendio.

Con il diffondersi di tale pratica commerciale, si è tuttavia assistito al proliferarsi di problematiche e truffe in danno dei consumatori.

L’ultima vicenda, balzata alla luce dei riflettori, riguarda la società Dentix che, versando in una situazione di difficoltà economica, ha interrotto le prestazioni mediche rispetto a pazienti che si sono ritrovati, comunque, a dover pagare le rate di finanziamento alla Banca.

In questi casi ci si domanda, quindi, se sia possibile sospendere o interrompere il pagamento del finanziamento, non potendo usufruire del servizio per il quale è stato richiesto.

La risposta a tale quesito è data dal Testo Unico Bancario (D.Lgs. 1.9.1993 n. 385), le cui previsioni originarie hanno subito importanti modifiche dovute alla normativa comunitaria.

L’art. 125 quinquies recita che:

“Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile.

La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso”.

Pertanto, il consumatore che non riceva i prodotti o i servizi che per i quali aveva richiesto il finanziamento dovrà:

Mettere in mora il fornitore inviando una raccomandata o una Pec, intimando di fornire i servizi acquistati;

Verificare che l’inadempimento del venditore non sia di “scarsa importanza” (art. 1455 c.c.), tenuto conto dell’importo corrisposto e la prestazione eventualmente ricevuta in parte.

A quel punto, lo stesso potrà rivolgersi alla Banca o alla società finanziaria, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione di tutti gli importi già corrisposti.

A favore dei consumatori (e conseguentemente della possibilità di ottenere la risoluzione e la restituzione di quanto già pagato) si sono ormai da tempo pronunciati anche gli organi giudiziari, sostenendo che tra il contratto di servizi e quello di finanziamento esiste uno collegamento necessario tale per cui venendo meno il primo, viene meno anche il secondo.

Questa posizione non è sempre stata univoca nella giurisprudenza della Cassazione che, fino alla importante pronuncia del 29.9.2014 n. 2047 sosteneva che il collegamento esistesse solo e soltanto qualora le parti lo avessero espressamente previsto nel contratto.

Secondo la Cassazione era dunque necessario che ci fosse un collegamento di natura “contrattuale” che confermasse l’unitarietà della funzione perseguita dalle parti.

Dal 2014 la Suprema Corte ha modificato la propria posizione con una serie di pronunce costanti e univoche (Cass. 30.9.2015 n. 19522, Cass. 27.9.16 n. 19000), in cui ha affermato l’esistenza di un collegamento di natura “legale” tra i due contratti.

I due contratti si intenderanno collegati anche a prescindere dalla presenza di una clausola contrattuale.

In presenza dei requisiti previsti, il consumatore potrà quindi avvalersi dell’art. 125 quinquies TUB e chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione di quanto già corrisposto.